Andrea Zanzotto

Fattoria Monte Fasolo
Cinto Euganeo

Esistono davvero certi luoghi, anzi, certe concrezioni o arcipelaghi di luoghi in cui, per quanto ci si addentri, e per quanto li si pensi e ripensi, o li si colga tutti insieme come in un plastico fissato da una prospettiva dall’alto, mai si riuscirebbe a precisarne una vera “mappa”, a fissarvi itinerari. La voglia che tali luoghi insinuano è quella di introiettarli quasi fisicamente, tanto sono vibranti di vitalità intrecciate e dense. […] Ecco, questo si può dire particolarmente, con sfacciata e maliosa evidenza dei Colli (monti) Euganei. Anche un semplice pieghevole pubblicitario è più che sufficiente a far entrare in una fuga di piani visivi, di vicende della terra e degli essere umani che vi stanno per scelta o per destino con i loro casali, paesi o castelli, a dare il senso di un “infinito” e di un “eterno” proprii. E’ una realtà che trascina in un gorgo di intrighi o apparizioni o conferme: a partire dalle vicine o incluse “astuzie” termiche di falde acquifere salutari, già cantate sin dai tempi antichi (Claudiano), e lasciando sullo sfondo Padova. Muoversi, formicolare, stare negli Euganei e glissare di là in tutte le direzioni del cosmo, cogliere i possibili della tortuosità di una o di dieci stradine su dieci diversi orizzonti e assaggiare la sana festosità e la pacatezza dei tanti olivi e dei tanti olii sufficienti ad alimentare per sempre lucerne interiori e fluidità di fantasie. E presto ci si trova invischiati dolcemente e acremente in successivi paradisi, accordati col corpo geologico e coi 30-35 milioni di anni che gli inarcano le spalle, col gregge indisciplinato dei colli-monti che finiscono per modularsi in labirinto. […] Immediatamente dopo, a nord si alzano sui colli Baone, e Calaone già corte dei marchesi d’Este dove nel XIII secolo si era acceso il primo e più importante cenacolo di poeti provenzali d’Italia, anche con rifugiati dalla persecuzione in patria. L’immenso patrimonio lirico occitanico giustamente si assestava qui dopo le tappe sicula e toscana, per trovare nel Petrarca, e in Arquà, il culmine di un’intera tradizione e un incredibile inizio. […] Intorno a lui ruotano eventi e frotte di ammiratori e imitatori illustri, ma anche di letterati ammuffiti. Ora, col suo rosagiallo, il sarcofago tante volte manomesso e restaurato campeggia nella piazzetta per i turisti, ma nell’inverno silente questa pare si dilati e dilati ancora entro il nulla; e profumato di brina e nulla è anche il sarcofago, che non per questo cesserà di essere smangiucchiato, come la testa bronzea del poeta che vi è sovrapposta mai cesserà di far da bersaglio alle sassate. […] Quell’aspetto romito e difficile che conservano i Colli, penetrabili solo a piedi per certi viottoli non asfaltati, dove è ancora possibile trovare il falco, certo si confaceva al Petrarca e ai suoi cammini, in cui è giusto vedere l’assommarsi e il divaricarsi delle più varie esperienze intellettive e del sentimento, a ridosso di un “ultimo limite”.

da Colli Euganei, 1997