Francesco Petrarca
Casa di Francesco Petrarca
Arquà Petrarca
Di pensier in pensier, di monte in monte
mi guida Amor, ch’ ogni segnato calle
provo contrario a la tranquilla vita.
Se ‘n solitaria piaggia, rivo o fonte,
se ‘n fra duo poggi siede ombrosa valle,
ivi s’ acqueta l’ alma sbigottita;
et come Amor l’ envita,
or ride, or piange, or teme, or s’assecura;
e ‘l volto che lei segue ov’ ella il mena
si turba et rasserena,
et in un esser picciol tempo dura;
onde a la vista huom di tal vista experto
diria: Questi arde, et di suo stato è incerto.
Per alti monti et per selve aspre trovo
qualche riposo: ogni habitato loco
è nemico mortal degli occhi miei.
A ciascun passo nasce un penser novo
de la mia donna, che sovente in gioco
gira ‘l tormento ch’ i’ porto per lei;
et a pena vorrei
cangiar questo mio viver dolce amaro,
ch’ i’ dico: Forse anchor ti serva Amore
ad un tempo migliore;
forse, a te stesso vile, altrui se’ caro.
Et in questa trapasso sospirando:
Or porrebbe esser vero? or come? Or quando?
Ove porge ombra un pino alto od un colle
talor m’ arresto, et pur nel primo sasso
disegno co la mente il suo bel viso.
Poi ch’ a me torno, trovo il petto molle
de la pietate; et alor dico: Ahi lasso,
dove se’ giunto! et onde se’ diviso!
Ma mentre tener fiso
posso al primo pensier la mente vaga,
et mirar lei, et oblïar me stesso,
sento Amor sí da presso,
che del suo proprio error l’ alma s’ appaga:
in tante parti et sí bella la veggio,
che se l’ error durasse, altro non cheggio.
I’ l’ ò piú volte (or chi fia che me ‘l creda?)
ne l’ acqua chiara et sopra l’ erba verde
veduto viva, et nel tronchon d’ un faggio
e ‘n bianca nube, sí fatta che Leda
avria ben detto che sua figlia perde,
come stella che ‘l sol copre col raggio;
et quanto in piú selvaggio
loco mi trovo e ‘n piú deserto lido,
tanto piú bella il mio pensier l’ adombra.
Poi quando il vero sgombra
quel dolce error, pur lí medesmo assido
me freddo, pietra morta in pietra viva,
in guisa d’ uom che pensi et pianga et scriva.
Ove d’ altra montagna ombra non tocchi,
verso ‘l maggiore e ‘l piú expedito giogo
tirar mi suol un desiderio intenso;
indi i miei danni a misurar cogli occhi
comincio, e ‘ntanto lagrimando sfogo
di dolorosa nebbia il cor condenso,
alor ch’ i’ miro et penso
quanta aria dal bel viso mi diparte
che sempre m’ è sí presso et sí lontano.
Poscia fra me pian piano:
Che sai tu, lasso? forse in quella parte
or di tua lontananza si sospira.
Et in questo penser l’ alma respira.
Canzone, oltra quell’ alpe
là dove il ciel è piú sereno et lieto
mi rivedrai sovra un ruscel corrente,
ove l’ aura si sente
d’ un fresco et odorifero laureto.
Ivi è ‘l mio cor, et quella che ‘l m’ invola;
qui veder pôi l’ imagine mia sola.
dalla Canzone CXXIX.