Giacomo Zanella
Monastero Degli Olivetani
Vo
Almen qui le cadenti
Logge e l’atrio ventoso
A cresi onnipotenti
Non dier tetto fastoso;
Né la diruta volta
Delle celle devote
L’invereconda ascolta
Canzon d’ebbro nepote.
Per la dirotta china
Fra l’eriche e gli arbusti,
Scende nobil ruina
Di colonne e di busti;
Sulla pietra già rosa
Dal ginocchio de’ Santi
Il ramarro riposa
E strisciano gli acanti.
Quassù, sazi del mondo,
Pochi eletti in silenzio
Bevevano il giocondo
Delle lacrime assenzio;
E sotto i pini, aperto
Sui ginocchi il Vangelo,
Nell’alpestre deserto
Cogliean rose di cielo
Lento il verno nevoso
Sedea sulla pendice,
Ma se all’uscio pietoso
Picchiava l’infelice,
Uscìa benigno un volto,
Ed una scarna mano
Il poco pan raccolto
Partìa col mandriano.
Per altra via t’avanza
Affannoso mortale,
Se credi alla speranza
Che si allevi il tuo male
Fiero del nuovo alloro
L’antico tempo irridi
Se negli agi e nell’oro
Trovar pace confidi;
Ma non toccar le mura
Venerabili e gli archi,
Ov’ebber sepoltura
Gli avi di noi più parchi
Ride un’austera gioia
Sulle bianche pareti,
Che fantastica noia
Copre d’aurei tappeti.
Passaggiero! Se pensi
Che ne’ fugaci fiori,
Onde han diletto i sensi,
Solo il bene dimori,
A queste mura, occulto
Di penitenza albergo,
Getta il beffardo insulto
E volgi iroso il tergo;
Ma se vetusta cura
Le tue notti tormenta;
Se dell’ora ventura
Il buio ti sgomenta,
Innanzi a questi sassi,
Che un porto all’alme offriro,
Invidiando i passi
Ferma e manda un sospiro.