Silvia Rodella

Via Bomba, 371
Cinto Euganeo

Il sole si sporge al mattino a sbirciare dalla sella del monte Cinto, e dopo avergli accarezzato il mantello di castagni spelacchiato qua e là, per indugiare fra le sue falde estreme cariche d’uva, inonda la valle odorante di messe. Sotto i suoi raggi il canale è tutto uno scintillio, e le strade si snodano come nastri grigi, arterie pulsanti di vita, fra la buona terra pezzata di diversi colori, in una serena pace.
Tuttavia non sempre le strade furono sicure come ora. Ci fu un tempo in cui uno, prima d’avventurarvisi, faceva testamento e poi si segnava tre volte. Quel groppo di sassi, a tre quarti del monte Cinto, era un covo di ladri; di là una caverna profondissima conduceva dall’altra parte del monte, dove una volta, tanti anni fa, fu adorato il dio Silvano.
I ladri nella caverna tenevano le loro provviste, fra le quali non mancavano quelle per uccidere; poiché uccidere era il loro mestiere. Nelle notti buie salivano in vetta alle rovine, dapprima abitazione dei Romani, sulle quali poi gli Scaligeri fabbricarono un castello, distrutto da Ezzelino da Romano, figlio del diavolo in forma di cane.
Sulla spianata del monte si vedono ancora le buche dove i marioli fabbricavano la polvere. S’erano ferrati le scarpe coi chiodi abbandonati dai soldati di Ezzelino, e lesti come caprioli, giù per quel canalone si precipitavano al piano, per calare sui malcapitati viandanti; e non solo di notte, ma anche di pieno giorno.
Nessuno più era sicuro. I paesani, per vivere tranquilli e veder riposare in sicurtà le loro creature nelle culle, non trovavano di meglio che tener terzo ai furfanti. Questa convenuta tacita rete di silenzio – protezione dei deboli – durava da molti anni.
Il governo di allora, per sradicare la mala pianta, non trovò altro mezzo che ricorrere a estremi rimedi e radicali, com’era suo costume, e questa volta giustificato. […] Fra i briganti e i gendarmi s’iniziò una lotta terribile, che finì con lo sterminio dei primi il 15 marzo 1856: cento impiccati sulla piazza d’Este! Questa l’ultima retata…
Ma erano tutti morti? E il cocchiere del dottor X?
Forse per quell’atto di buon cuore Dio lo risparmiò. Era un di quelli che abitavano il buso dei ladri. Rami e cespugli nascondevano l’entrata e la nascondono anche adesso, e lui vi si ficcò in mezzo.
Dicono che avesse una moglie alla quale voleva un gran bene. Anche i briganti hanno il loro lato buono. Questa visse con lui nella caverna quel tanto che bastò per convertirlo… […] Dopo qualche tempo l’Eremita, carico di anni, e a quel che pare anche di meriti, fu trovato morto sul limitare della porta del buso dei ladri. Un albero fiorì a quel posto, un mandorlo. Ed è il primo che s’imbianca ogni primavera.

da Leggende euganee, 1941