Giuliano Scabia

Sentiero del monte Cecilia
Baone

Uscendo videro tutti i colli, davanti, ondulati verdi. L’orizzonte era molto in là per via della limpidezza. Una nuvola piccola, dorata e di altri colori, saliva velocemente, ariosa, come respirante. Il cielo, per gran parte sereno, sembrava schiudersi per effondere quei nuclei di luce che potrebbero preludere all’apparizione di dèi o angeli. Arrivarono alla macchina con le gambe un po’ molli per la discesa e partirono per Este, passando per via Maestà Piccola – poi giù per Costa San Giorgio e Baone – un quarto d’ora. Lorenzo mostrava col braccio quello che sapeva delle vallette – piccoli racconti di cose viste o sentite narrare – accarezzando ogni tanto i capelli di Irene. Fecero pranzo in una piccola osteria – una delicata minestra di risi e bisi, gallina lessa, vino raboso, pane schissòto – e andarono a godersi la piazza all’antico caffè della Borsa, all’aperto sotto i portici: – c’era vento, ma tenero, tiepido. […] Quando uscirono trovarono il buio. Lorenzo disse all’autista di tornare per Rivadolmo e Fontanafredda. Passarono ai piedi del Monte Venda – c’erano poche luci, sparse, ma la luna (calante) rendeva ogni pendio lucente: e sembrava inumidire di uno spessore celeste (di colore celeste) il corpo dei boschi per le valli e vallicine dove lepri e volpi erano ancora guizzanti, con martore e faine, tassicane e tassiporcello – dove, in certi luoghi ombrosi (narrava Lorenzo) una volta i cavalieri e le cavalarisse andavano e venivano per bere l’acqua delle fonti e baciarsi: al tempo della cavalleria. Irene rise alla parola cavalarisse e all’idea di quegli uomini armati e ferrati andanti sui colli e nelle pianure in cerca di duelli e amore – come nei poemi. O era avvenuto solo nei poemi?

da Lorenzo e Cecilia